Infermiere di famiglia. Contratto, normativa e le questioni irrisolte: dipendenze e reclutamento
L’infermiere di famiglia, nato come esperimento, per rispondere al bisogno crescente di cure territoriali, in una società sempre più vecchia e malata, oggi trova la sua ufficialità grazia al DM 71. Un percorso lungo e tortuoso, quello che ha portato all’ufficializzazione di una figura indispensabile per la sanità territoriale, ma che ancora lascia aperte delle questioni che analizzeremo dopo aver fatto un breve excursus su norme e contratto.
Partiamo con il dire, che nell’ultimo CCNL comparto sanità, almeno ufficialmente, non vi è traccia dell’infermiere di famiglia; trova una collazione puramente formale, nei sistemi degli incarichi , dei quali comunque vanno ancora definiti, caratteristiche modalità e criteri.
L’infermiere, comparso a pieno titolo, nel Patto per la salute, per gli anni 2019-21, scheda B, sviluppo delle reti territoriali, riordino della medicina generale, l’unica regione che ad oggi vanta di avere reso strutturata e presente la figura dell’infermiere di famiglia, è la Toscana.
Con la delibera di giunta n. 597 del 4 giugno 2018 la Regione Toscana ha indicato il quadro di riferimento, la definizione, le caratteristiche del modello, le responsabilità, le funzioni e le competenze e il relativo percorso formativoper la nuova figura dell’infermiere di famiglia e di comunità (IFC).
L’infermiere di famiglia gestisce i processi infermieristici in ambito familiare e di comunità di riferimento e opera in collaborazione con il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta, il medico di comunità e l’équipe multiprofessionale per aiutare individuo e famiglie a trovare le soluzioni ai loro bisogni di salute e a gestire le malattie croniche e le disabilità. Dal punto di vista contrattuale in Toscana sono tutti lavoratori subordinati a tempo indeterminato e il pool degli IFC afferisce alle strutture organizzative del Dipartimento infermieristico.
Ma tornando alla normativa generale, dopo la comparsa nel Patto per la salute, l’infermiere di famiglia fa capolino nel Decreto Rilancio – decreto legge 34/2020 che all’art. 1, comma 5, prevede, una sorta di anticipazione della figura, collocandola tra i convenzionati accanto ai medici di medicina generale (MMG) e ai pediatri di libera scelta (PLS). Da questo decreto in avanti, se ne succedono diversi, tra cui progetto di legge dalla senatrice Boldrini, che risulta ancora essere, alla data del 12 luglio 2022 e precisa che è “in corso di esame in commissione”.
L’ultimo aggiornamento sulla figura dell’infermiere di famiglia è ovviamente quello contenuto nel cosiddetto “D.M. 71”, concernente il “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale”, che ne definisce il ruolo:
- L’Infermiere di Famiglia e Comunità è la figura professionale di riferimento che assicura l’assistenza infermieristica ai diversi livelli di complessità in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità, perseguendo l’integrazione interdisciplinare, sanitaria e sociale dei servizi e dei professionisti e ponendo al centro la persona. L’infermiere di comunità interagisce con tutte le risorse presenti nella comunità formali e informali. L’infermiere di comunità non è solo l’erogatore di cure assistenziali, ma diventa la figura che garantisce la riposta assistenziale all’insorgenza di nuovi bisogni sanitari e sociosanitari espressi e potenziali che insistono in modo latente nella comunità. È un professionista con un forte orientamento alla gestione proattiva della salute. È coinvolto in attività di promozione, prevenzione e gestione partecipativa dei processi di salute individuali, familiari e di comunità all’interno del sistema dell’assistenza sanitaria territoriale.
Standard:
– almeno 1 Infermiere di Famiglia e Comunità ogni 3.000 abitanti.
Definito il percorso normativo dell’infermiere di famiglia, sono due le questioni che restano ancora aperte: la dipendenza e l’arruolamento.
Alle dipendenze di chi?
La scelta provvisoria per il 2020 è stata quella di utilizzare forme di “lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa”, con un parametro di riferimento alla popolazione. L’assunzione sarebbe dovuta avvenire da parte dell’azienda sanitaria ma l’utilizzazione sembra che fosse del MMG o del PLS, altrimenti non si spiegherebbe lo stanziamento di 10 milioni di euro, di cui al comma 9 dell’art. 1, che riguarda l’indennità infermieristica che è parte integrante del trattamento economico spettante al medico convenzionato. Gli infermieri assumibili erano 9.600 e lo stanziamento per l’indennità infermieristica avrebbe portato circa 1.000 € a ciascun medico convenzionato. Dal 2021 sembra però che il legislatore abbia optato per il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze della azienda sanitaria.
E’ quindi fondamentale stabilire quale tipo di dipendenza, tra lavoro subordinato alle dipendenze delle aziende sanitarie (come dice il D.L. 34) e istituzione di una nuova figura di convenzionato parasubordinato non dipendente dalle aziende.
Reclutamento
Qualora parlassimo di rapporto di dipendenza, l’accesso è ovviamente tramite concorso pubblico e poiché si tratta di una “figura” e non di una nuova, autonoma professione o profilo professionale, inevitabilmente il bando dovrebbe prevedere posti di “infermiere”, indicando al massimo il numero dei posti destinati al servizio territoriale. Ma poi i vincitori del concorso sarebbero assunti come “infermieri” e certamente non come “infermieri di famiglia”, con una conseguente eventualità, quella che per esigenze organizzative l’infermiere potrebbe essere poi spostato ad altra UO.
Diverso lo scenario sarebbe se l’assunzione avvenisse con contratto libero professionale o in regime convenzionale o se una volta assunto per concorso, gli venisse conferito un incarico di funzione specifico.
Fonte: Il nuovo CCNL sanità, Stefano Simonetti, Maggioli editore